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Quel conflitto fra Sindaci e parlamentari…

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sabato, 14 ottobre 2017 15:36

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Rosario Pesce
È evidente che la nuova legge elettorale amplia il conflitto fra i livelli istituzionali del nostro Paese.
Il fatto che un 1/3 dei parlamentari solamente sia eleggibile direttamente, mentre il rimanente 2/3 sia di nomina, per effetto del meccanismo delle liste bloccate, non può che favorire i parlamentari uscenti, che, per effetto del rapporto consolidato con i capicorrente e con i vertici nazionali dei propri partiti, possono molto più facilmente ambire alla rielezione dei Sindaci, che saranno sempre collocati in una posizione meno favorevole nei listini proporzionali.
Ciò segna, in primis, una crisi di consenso per il partito, il PD, che più di altri ha una notevole classe dirigente a livello locale, pronta a candidarsi se le venisse data la possibilità di correre con le preferenze nella competizione elettorale con i parlamentari uscenti e con i vari notabili di rango nazionale.
Inoltre, segna un fatto inquietante: se due parlamentari su tre sono di nomina, come nel vecchio regio Senato sabaudo, è chiaro che non solo si indebolisce molto il vincolo fra eletti ed elettori, ma soprattutto si delegittima ulteriormente la politica ed, in particolare, il ceto parlamentare che apparirà sempre più una casta autoreferenziale, unicamente tesa alla difesa di privilegi innaturali in una condizione complessiva di disagio sociale per molti strati della popolazione.
Peraltro, il paradosso è molto forte: venti anni fa, fu introdotto il nuovo automatismo di elezione dei Sindaci, facendo di questi primi cittadini, per lo più, dei piccoli podestà, con poteri enormi, sia di indirizzo politico, che a livello di mera gestione amministrativa.
Orbene, a questo segmento di ceto politico, oggi, per effetto della legge elettorale di nuovo varo, si dice che, se vorranno divenire deputati o senatori, devono mettersi in lista, molto probabilmente in coda, dopo gli uscenti e devono rinunciare al loro reale punto di forza: la preferenza.
Pertanto, il ceto politico appare diviso in due: per un verso, i Sindaci condannati a rimanere tali per una vita intera; dall’altro, i deputati ed i senatori, spinti a rimanere a Palazzo Madama o a Montecitorio per un periodo altrettanto lungo della loro vita, con un tratto obiettivamente penalizzante per chi, pur potendo contare su un consenso - a volte - molto ampio e diffuso, non potrà mai fare il salto di qualità, passando dalla periferia alla vita istituzionale romana.
È ovvio che un simile meccanismo non può che rallentare il processo di rinnovamento della classe politica, che in particolare un partito riformatore, come il PD, avrebbe dovuto compulsare e che, invece, affossa definitivamente, per difendere una posizione di privilegio di gruppi parlamentari, che sovente sono i medesimi da un ventennio circa.
Il Rosatellum, forse, per Renzi avrà lo stesso nocivo effetto, che ebbe per Craxi la contrapposizione al dispositivo di voto introdotto dal referendum di Segni?
Certo è che, se qualcuno avesse voluto fare un gentile cadeau alla propaganda di Di Maio, non avrebbe potuto trovare migliore soluzione del Rosatellum.
Masochismo, quindi, o sistematica intenzione di incrementare il populismo nel Paese e di far crescere una pericolosa deriva anti-istituzionale?
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