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Una scelta scellerata

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sabato, 07 ottobre 2017 22:33

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Rosario Pesce
Quella del re di Spagna e del Presidente del Consiglio iberico è stata, di certo, una scelta scellerata.
È evidente che aver ricercato la strada della repressione, in merito al referendum iberico, è stato sciocco e pericoloso, visto che le ragioni degli indipendentisti catalani hanno trovato una legittimazione ulteriore.
Prima, infatti, dell’intervento repressivo le ragioni della Catalogna erano un patrimonio di nicchia, mentre la presenza delle forze armate, che hanno più volte caricato la folla nella giornata di domenica, ha determinato un surplus di simpatie verso quelle che sono divenute vittime di un regime liberticida ed illiberale.
A distanza di molti decenni, quindi, si è riprodotto lo schema della guerra civile di Spagna: da una parte i Catalani, democratici ed oggetto di violenza; dall’altra, i Castigliani prepotenti ed espressione di uno Stato totalitario, come appunto ai tempi di Franco.
È ovvio che un simile idealtipo non è corrispondente al vero, visto che le ragioni dell’indipendentismo non si possono giustapporre a quelle della democrazia degli anni Trenta del secolo scorso, ma è pleonastico sottolineare che la Corona ed il Governo iberico hanno finito per dare nuova forza, sul piano internazionale, a chi - fino alla scorsa domenica - non poteva contare su grandissimi appoggi.
Peraltro, è apparsa evidente la debolezza – ormai cronica – dell’Unione Europea, che si è eclissata, derubricando il referendum catalano a mera questione nazionale.
Oggi, come ai tempi della guerra nella vecchia Jugoslavia, l’Europa non esiste e, se viene chiamata in causa, scappa come un codardo.
Appare lapalissiano sottolineare che non era, di certo, questo l’ordine internazionale che si desiderava costruire, quando si è messo mano all’Unione.
Il referendum catalano non era questione solo spagnola prima dell’intervento dell’esercito contro la folla ed, a maggior ragione, non lo è dopo che le forze armate di un Paese dell’Unione hanno caricato centinaia di migliaia di persone impegnate a manifestare il loro disagio in forma civile e non violenta.
In nessun Paese europeo, si può invero consentire che l’ordine pubblico degeneri a tale punto, perché, quando si intraprende una simile strada, si è già ampiamente sul sentiero del fallimento.
La storia, a quanto pare, in molti casi non è più maestra di vita.
Infatti, la repressione del moto catalano costituisce la premessa perché altri simili fallimenti possano consumarsi nella vecchia Europa: tante, troppe sono le regioni che vorrebbero staccarsi dalla loro madrepatria per intraprendere un percorso di indipendenza ed autonomia, come la Catalogna.
A questi regionalismi l’Europa può e deve fornire una risposta politica, che non può essere né il gesto pilatesco del lavarsi le mani, come è accaduto nella vicenda iberica, né quello del sostegno, più o meno manifesto, verso chi usa la forza legittima dello Stato in modo improprio ed infelice.
Sarà l’Europa in grado di fare un siffatto salto di qualità oppure, come ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, l’assenza della Società delle Nazioni determinerà l’implosione dell’ordine mondiale ed un nuovo periodo di conflitti e di incertezza istituzionale?
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