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Quanto vale Alfano?

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domenica, 01 ottobre 2017 16:05

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Rosario Pesce
Uno dei quesiti, che ci poniamo oggi, è quello in merito al valore politico-contrattuale della formazione del ministro degli Esteri Alfano.
Negli ultimi anni, pare che tale potere si sia notevolmente incrementato, nonostante egli perda parlamentari e consiglieri regionali a iosa.
Infatti, il buon ministro siciliano, dapprima nominato agli Interni e poi agli Esteri, ebbe l’indiscusso merito di lasciare Berlusconi nei suoi guai giudiziari e di consentire la nascita, dapprima, dei Governi Letta e Renzi e, poi, di quello Gentiloni.
Ma, a conti fatti, sembra che nella politica nazionale egli riesca a contare molto più di quanto valga il suo peso elettorale.
Non è un caso, se di recente è riuscito ad imporre due condizioni a Renzi per la sopravvivenza della legislatura.
Oggi, non solo le nomine di sotto-governo vengono condizionate con questi parametri, ma viene decisa la linea politica dei Governi, che nascono già assai fragili.
Complimenti, perciò, al Ministro Alfano: ovviamente, non possiamo che attenderlo al prossimo esito elettorale, nell’auspicio che, almeno, la sua forza parlamentare gli abbia giovato agli occhi della pubblica opinione nazionale. In primis, ha indotto il PD a scaricare il Presidente uscente della Regione Sicilia ed ha imposto un nuovo candidato per le Regionali siciliane, il rettore dell’Università di Palermo, che peraltro nei sondaggi è dato molto indietro rispetto agli avversari.
Inoltre – e questo, certo, dimostra la sua forza, che va ben oltre i numeri – è riuscito a stoppare l’approvazione della legge in merito allo Ius Soli, che avrebbe dovuto essere uno dei punti qualificanti dell’azione dell’odierno Esecutivo, oltreché della Segreteria Renzi.
L’Italia, invero, è abituata a vedere partiti che hanno un peso politico ben maggiore di quello elettorale. D’altronde, lo stesso Craxi riusciva a pesare molto più di quanto, effettivamente, il suo PSI valesse in termini elettorali.
Ma, nel caso di Alfano, ci sembra che questa pessima abitudine del sistema istituzionale italiano abbia trovato un punto di non ritorno, visto che siamo in un’epoca di spirito maggioritario prevalente e, perciò, appare ingiustificabile che un partitino, che ha un consenso da prefisso telefonico, possa essere in grado di dettare l’agenda alla prima forza organizzata del Paese.
È il segnale più evidente, questo, che la vocazione maggioritaria del PD, tante volte invocata da Veltroni, è miseramente fallita al cospetto dei giochi parlamentari, che consentono a formazioni transeunti di occupare posizioni nevralgiche di potere e di determinare l’iter di decreti e disegni di legge, che piuttosto dovrebbero contrassegnare, in modo forte, l’azione di Governi e di intere legislature.
È ovvio che, fino a quando tale costume sarà tollerato, il trasformismo sarà l’elemento forte della vita parlamentare, perché viene premiato chi, con pochissime e sparute pattuglie, è in grado di far nascere i Governi e, quindi, di incassare un risultato politico che va ben oltre ogni reale quantificazione del suo scarso peso elettorale.
Ai tempi della Prima Repubblica, i piccoli partiti erano in grado di causare delle crisi di Governo, per cui ogni nomina governativa doveva essere pesata con i parametri del codice Cencelli, per evitare conseguenze non gradite.
Oggi, non solo le nomine di sotto-governo vengono condizionate con questi parametri, ma viene decisa la linea politica dei Governi, che nascono già assai fragili.
Complimenti, perciò, al Ministro Alfano: ovviamente, non possiamo che attenderlo al prossimo esito elettorale, nell’auspicio che, almeno, la sua forza parlamentare gli abbia giovato agli occhi della pubblica opinione nazionale.
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