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Rosario Pesce
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Pisapia è il protagonista della dinamica politica degli ultimi giorni e lo sarà sempre più nel corso delle prossime settimane, visto che, dai suoi posizionamenti, dipendono quelli dell’intero Centro-Sinistra.
È, ormai, evidente che il Movimento di D’Alema e Bersani intende candidarsi alle elezioni politiche in assenza di un’alleanza, almeno dichiarata, con il PD di Renzi, perché molto probabilmente ritiene di poter prendere molti più voti, se corre in posizione di beata solitudine, salvo poi rientrare nei giochi parlamentari all’indomani del voto popolare.
Ragionamento diverso fa Pisapia, il quale sa bene che deve prendere il consenso di quegli Italiani che si riconoscono in una Sinistra diversa da quella renziana, ma al tempo stesso avverte l’esigenza di non rompere alcun accordo pre-elettorale con il PD, anche perché potrebbe, in sintonia con i vertici di Largo Nazareno, dare vita ad un listone unico, nel quale sarebbero presenti sia i suoi candidati, che quelli renziani.
È ovvio, dunque, che le due strategie siano ben diverse fra loro, se non rigorosamente alternative.
Correre con Renzi o lontano dal PD non sono opzioni da poco, anche perché, da queste scelte, discendono poi conseguenze a livello locale, dove in particolare il personale politico del Movimento dalemiano deve decidere se essere o meno alleato dei Sindaci e dei Governatori renziani.
Peraltro, la nuova ipotesi di legge elettorale prevede un numero più alto di parlamentari nominati ed, in particolare, fissa una soglia di sbarramento che deve interrogare Pisapia, visto che il 3% non sarebbe un limite facilmente raggiungibile, qualora la pubblica opinione nazionale dovesse decidere di voltare le spalle al Centro-Sinistra tout court.
Certo è che l’indecisione non può durare a lungo: entro qualche settimana, Pisapia deve sciogliere il nodo di Gordio e posizionarsi accanto o contro Renzi.
Frattanto, D’Alema, nel giro del Paese, non risparmia elogi alla tradizione socialista, ben conscio che il suo Movimento, pur essendo alla Sinistra del Pd, non deve contrassegnarsi come un partito estremista, ma può e deve andare alla ricerca delle ragioni più genuine del riformismo progressista.
Non è un caso se, in molte regioni, il personale politico di MDP è costituito da ex-socialisti o, comunque, da ambienti che non hanno mai ripudiato, in passato, il loro rapporto con il craxismo e con la stagione di riforme, volute dall’allora leader del Garofano.
Certo, dispiacerebbe poi scoprire che il tutto nasce, solo, da mero tatticismo, anche perché il Paese, da Renzi o da chiunque altro, attende delle risposte precise al disagio odierno e non può, invero, attardarsi in polemiche, che sarebbero forse gradite solo agli storici ed ai giornalisti, che devono scrivere la storia dell’Italia ai tempi della Prima, Seconda e - forse - Terza Repubblica, ormai nascente.
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