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Rosario Pesce
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L’ufficializzazione della candidatura di Di Maio al ruolo di Premier, in vista delle elezioni del prossimo inverno, costituisce una non-notizia, visto che era scontato che il parlamentare campano assurgesse a tale ruolo.
Ma, non era scontato che, accanto al ruolo di Premier, venisse assicurato al giovane deputato di Pomigliano D’Arco, anche, quello di capo politico del Movimento, che gli garantirà una leadership a prescindere dall’esito del voto del 2018.
È evidente che il Movimento Cinque Stelle ha subito profondi cambiamenti nel corso degli ultimi anni, in particolare dalla morte di Casaleggio in poi, che ha accelerato il processo di frammentazione del partito-movimento, creando un’ineluttabile competizione fra gruppi, gruppuscoli e correnti varie, come nella migliore (pardon, peggiore) tradizione dei partiti italiani.
La designazione di Di Maio alla leadership, avvenuta ovviamente con il consenso determinante di Grillo, modifica ulteriormente lo stato di cose, perché rende il M5S, in tutto e per tutto, simile alle altre forze, che vorrebbe combattere e da cui vorrebbe distinguersi.
Di Maio è, certamente, ottima persona e, molto probabilmente, fra tutti gli aspiranti è quello che, meglio di altri, può guidare il M5S nel corso della prossima campagna elettorale.
Ma, la posta in gioco non è, per nulla, secondaria: alle prossime elezioni politiche, non solo il M5S si gioca la chance di essere forza di Governo, ma, come molte altre forze, in caso di clamorosa sconfitta, corre il serio rischio dell’implosione.
E Di Maio, in caso di vittoria o di sconfitta, dovrà essere capace di tenere unito un partito, che già oggi non lo è.
Infatti, in caso di vittoria, dovrà conciliare le esigenze del Governo con le istanze del movimento populista, che hanno sempre contraddistinto il M5S, mentre - in caso di sconfitta - dovrà difendersi dalle accuse, che gli pioveranno addosso, visto che i suoi detrattori interni, che oggi sono costretti ad ingoiare il rospo, all’indomani del voto gli porteranno il conto dell’insuccesso.
Ma, si dirà che questa è la politica ed ogni buon leader deve essere capace di difendersi, sia quando vince, sia quando perde.
Di Maio, invero, ostenta spalle larghe, ma lo si potrà misurare quando dovrà pedalare con le sue forze, lontano dall’ombrello protettivo di Grillo, che frattanto rimane il “padrone” del M5S, oltreché il capo carismatico, che non andrà mai in pensione.
Per davvero, si preannuncia quindi una stagione importante, da qui al prossimo voto politico dell’inverno 2018, e - certo - non correremo il rischio di annoiarci.
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