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Rosario Pesce
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Quello offerto dalle squadre italiane di calcio, nel corso turno infrasettimanale di Champions, è stato certamente uno spettacolo inadeguato, che testimonia come il nostro attuale movimento calcistico sia nettamente inferiore, sul piano tecnico, a quello dei Paesi più ricchi ed avanzati.
Davvero, una notizia infelice per un Paese, come il nostro, che ha avuto, in passato, la leadership a livello non solo continentale.
Ma, non si può non prendere atto di un dato: le nostre squadre non sono più capaci di vincere nella più importante competizione a livello europeo.
Peraltro, il nostro calcio viene attraversato da scandali ciclici: dopo quello clamoroso di Calciopoli del 2006, che costrinse la Juve alla retrocessione forzata in serie B, oggi quello circa il presunto rapporto fra talune società e la criminalità organizzata in merito alla complessa gestione degli stadi.
È evidente che sono notizie che non fanno bene non solo all’immagine, ma neanche all’economia indotta dal fenomeno calcistico.
Il calcio è la principale azienda del divertimento nel nostro Paese, per cui ogni notizia, che ineluttabilmente allunga ombre inquietanti, non può che sporcarne la visibilità, che invece dovrebbe essere integra ed intatta.
Il calcio dovrebbe insegnare, essere uno strumento pedagogico per moltissime generazioni di adolescenti, che si affacciano alla pratica sportiva ed, attraverso questa, alla vita agonistica.
Purtroppo, non è così.
Neanche l’introduzione della tecnologia, nelle fasi essenziali di una partita, è riuscita ad eliminare ogni dubbio in merito alla condotta arbitrale, per cui, nonostante il Var, qualche malpensante continua ad ipotizzare che, in buona fede o con dolo, la classe arbitrale può ancora condizionare gli esiti di una partita e, dunque, di un campionato intero.
Ma, il calcio può essere questo?
Può essere associato ad uno spettacolo non adeguato ad una nazione, che intende far crescere in modo sano i propri figli?
È ovvio che è necessaria una riqualificazione dell’immagine dello sport principale degli Italiani, a meno che non si voglia giungere alla delegittimazione di un’azienda che, pur sempre, produce proventi ed è fra le poche attività di impresa che rappresenta un acceleratore dell’economia nazionale.
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