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Processione San Matteo a Salerno
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Rosario Pesce
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Chi scrive non è, di certo, un teologo per cui chiede scusa preventivamente per eventuali inesattezze dogmatiche, che dovessero essere espresse di seguito.
Certo è che il tema, che dà il titolo all’articolo, offre molti spunti di riflessione, a cui non può sottrarsi né il cattolico, credente e praticante, né il laico, che potrebbe avere un rapporto più “distratto” con il mondo del Sacro.
L’estate è tempo di processioni, di momenti collettivi di religiosità, a cui il popolo partecipa sempre con grandissimo entusiasmo, come è tradizione, in particolare, di noi Meridionali, che siamo stati abituati, anche, dai colonizzatori spagnoli ad esternare, in tal modo, il nostro credo.
È evidente che tali momenti sono di fondamentale importanza, soprattutto per le piccole comunità, che hanno modo di riacquisire il sentimento comunitario ed identitario, che andrebbe diversamente smarrito.
Non è un caso, quindi, che le contingenze di festa, legate al culto di questo o quel Santo, rappresentano delle occasioni catartiche per i nostri territori, nelle quali gli elementi di frizione vengono messi da parte e tutti, a prescindere dai punti di vista diversi, si trovano a vivere attimi di intensa religiosità al fianco di individui, con cui forse - altrimenti - non si condividerebbe nessun altro momento pubblico o privato.
La dimensione della devozione, quindi, in tali frangenti prevale in modo soverchiante su quella della teologia in senso stretto ed enfatizza viepiù l’inclinazione intimamente “politica” del credo religioso.
I nostri paesini del Sud perderebbero la loro identità, se non venissero celebrati momenti siffatti, che sono sovente anche un volano economico, visto che il programma devozionale si accompagna sempre ad uno laico, che prevede generalmente la degustazione e la consumazione di piatti tipici locali, che incentivano l’economia propria del turismo religioso e storico, con un conseguente indotto di non poco peso.
È ovvio che la religione non può ridursi, meramente, alla sola devozione popolare, ma è altrettanto vero che il Cattolicesimo vive e si alimenta di una simile dinamica, che conferma la centralità della Chiesa nell’organizzazione e nell’articolazione delle nostre micro-società, quali sono appunto i centri con poche migliaia di abitanti disseminati lungo l’intero arco dell’Appenino e lungo la costa.
Il sentimento ed il credo religioso vengono, pertanto, esternati in modo plateale: ne diventa il destinatario principale il Santo, a cui un’intera comunità ha affidato, simbolicamente, il proprio destino.
Non è un caso che la frase tipica, che accompagna drappi e paramenti, fa riferimento alla doverosa protezione che il Santo può garantire alla sua cittadinanza, secondo una tradizione tipicamente medievale, per effetto della quale una comunità affida la propria vita ed i propri averi alla difesa che, degli stessi, può fare la figura sacrale di turno.
Ed, oggi, invero il desiderio ed il bisogno di protezione non sono venuti meno, dal momento che, come in ogni epoca storica, si avverte la presenza di nemici interni ed esterni, dai quali farsi proteggere grazie a chi vanta la forza e l’autorevolezza di una benefica presenza trascendente.
Così, il Cattolicesimo lega il suo essere sociale alla dimensione più profonda della “polis”, divenendo il principale fattore politico - per definizione - della nostra società, finanche in modo molto più diffuso e radicale di prima, visto che non esiste un contro-altare alla sua presenza.
Sono fenomeni, questi, che meritano di certo un approfondimento con strumenti scientifici più raffinati e forbiti, ma è un dato che il bisogno di trascendenza coinvolge tutti e che, nonostante talune cadute di stile, esso è molto più forte di qualsiasi volontà e teoresi scientifica, che vadano in direzione chiaramente opposta.
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