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La vittoria di Tsipras

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lunedì, 26 gennaio 2015 18:34

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Rosario Pesce
La vittoria di Tsipras costituisce, certamente, la notizia del giorno, visto che - pur essendo, questo, un esito previsto - non era, forse, immaginabile che si producesse nella misura in cui, poi, si è realizzata.
Il successo di Syriza e, dunque, del suo leader non solo modificherà il corso degli eventi greci, ma inciderà non poco sulla storia europea, dal momento che la questione del debito del Paese più povero d’Europa, ineluttabilmente, avrà conseguenze sull’UE e sulle altre nazioni, che, pur non trovandosi nelle medesime condizioni elleniche, stanno comunque affrontando la contingenza più critica della loro storia economico-finanziaria, dopo i fatti tragici del 1929.
È ineluttabile che, da oggi in poi, tutti intendano seguire l’esempio del leader della Sinistra greca, visto che gli Stati, che si affacciano sul Mediterraneo, hanno un’esposizione debitoria notevole con l’Unione Europea, con la Banca Centrale ed il Fondo Monetario Internazionale.
La soluzione alternativa, proposta dalla BCE pochi giorni or sono, pur venendo incontro alle criticità della Grecia, come - appunto - delle altre nazioni che si trovano in una situazione analoga, non è del tutto esaustiva, per cui la determinazione di Tsipras di non confermare gli impegni assunti dai suoi predecessori pone una problematica molto seria.
Quando, infatti, la finanza di un Paese è gravemente danneggiata da un’esposizione debitoria rilevante, è indubbio che qualcuno – nella fattispecie, il partito del nuovo Premier ellenico – giunga ad ipotizzare di ristrutturare il debito, tagliando notevolmente le somme, che andrebbero restituite ai rispettivi creditori ed incidendo - per la parte che verrebbe, ancora, riconosciuta - sui tempi della dilazione del pagamento.
Evidentemente, la Germania e gli altri Stati che si esposero, facendo credito alla Grecia, quando venne loro chiesto dall’Unione, non saranno d’accordo con le volontà del nuovo leader greco, ma ineluttabilmente la decisione, più volte anticipata in campagna elettorale da Tsipras, consente ora a questi di avere un potere contrattuale con gli alleati europei, che - fino ad ieri - il suo Paese non poteva, neanche, immaginare di godere.
Infatti, come accade in tali casi, non essendo possibili altre vie, i creditori dovranno, necessariamente, accettare di sedere al tavolo delle trattative con il Governo ellenico, ragionando sulle proposte, che verranno loro fatte e che saranno avanzate dall’Esecutivo di Atene sulla scia del largo consenso, che la piattaforma politica di Syriza ha ottenuto in virtù del voto popolare.
Peraltro, l’esempio greco, se per un verso può determinare un’emulazione da parte di altri Stati, per altro verso può consentire alla pubblica opinione continentale di prendere finalmente atto della gravità di una situazione finanziaria, che generalmente è critica per tutte le potenze, che - un tempo - dominavano l’economia mediterranea.
Se, infatti, il debito greco si attesta al 170% del PIL nazionale, quello italiano supera abbondantemente il 110% della ricchezza, che produciamo, così che, a breve, se l’economia non dovesse riprendersi in maniera sensibile, il rischio che ci possa essere una deriva, anche, da noi non è del tutto peregrino, soprattutto perché stiamo assistendo ad un continuo smantellamento del nostro sistema produttivo, per cui, nel giro di una generazione, l’Italia potrebbe essere un deserto industriale, alla stessa maniera della terra natìa di Socrate, Platone ed Aristotele.
Ed, allora, noi Italiani cosa faremmo?
Adesso, noi siamo vittime della decisione unilaterale di Tsipras di non procedere al pagamento del debito, dal momento che l’Italia si espose, fra il 2012 ed il 2013, finanziando la Grecia per quaranta miliardi di euro, ma – invero – potremmo trovarci presto dalla parte dei debitori insolventi, qualora - fra diciotto mesi - non fossimo in grado di restituire il prestito, deliberato dalla BCE con l’acquisto dei sessanta miliardi mensili di euro in titoli di Stato, che andranno a scadenza fra due o cinque anni.
È giusto, dunque, che le rivendicazioni del Governo Tsipras siano ascoltate dalla Merkel e dalla Germania, visto che non è più ipotizzabile guidare il vecchio continente con i parametri finanziari dettati dal Trattato di Maastricht, che impone un rigore, divenuto ormai contraddittorio con lo stile di vita europeo, a meno che non si voglia, deliberatamente, programmare di organizzare un’operazione di macelleria sociale, immaginando cinicamente di abbandonare milioni di nostri concittadini alla miseria più nera, come è già successo in Grecia, dove migliaia di individui si sono suicidati ovvero sono divenuti barboni, dopoché - per anni - avevano avuto una vita fatta di stenti e di povertà incipiente.
Inoltre, non ci scandalizza il fatto che Tsipras, per formare il Governo, faccia ricorso al sostegno di una forza anti-europeista di estrazione marcatamente conservatrice, dato che la questione della solvibilità europea fa saltare i concetti tradizionali di Destra e di Sinistra, così come li abbiamo conosciuti nel corso del secolo scorso.
La crisi economico-finanziaria è così grave, che ci impone di ripensare le categorie tradizionali dell’agire politico e della dottrina del Novecento, dato che - solo così facendo - potremmo evitare che le disgrazie di molti nostri concittadini possano divenire il pretesto, perché si rinfocolino odi mai sopiti, che alimenterebbero la cattiva pianta del razzismo e della xenofobia, di cui già non mancano le prime tragiche avvisaglie.
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