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Rosario Pesce
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Il 2 giugno è, per definizione, la festa dell’Italia.
L’anniversario della nascita della Repubblica, sancita dal referendum del 2 giugno 1946, cade in un momento storico assai delicato per il Paese.
Infatti, dopo che per un ventennio è stato coltivato il sogno maggioritario, il ceto politico italiano si è reso conto che, per effetto dei vincoli della Costituzione e per consolidata tradizione storica, il Parlamento non può che essere espressione dei valori, politici e culturali, dell’intera nazione secondo una logica meramente proporzionale.
D’altronde, questa è la dinamica con cui i Padri Costituzionali, nel biennio 1946/48, realizzarono l’architettura del nostro Stato, espressione di tutti gli indirizzi di pensiero, che avevano combattuto la guerra contro il Fascismo ed il Nazismo.
Oggi, agli albori di una diversa stagione politica, si ritorna, con il dispositivo elettorale, all’idea primigenia di quanti crearono lo Stato italiano: un’idea che predilige la rappresentatività alla governabilità, in nome di un valore fortissimo di democrazia, che non esclude nessuno dalla partecipazione istituzionale.
È chiaro che, però, in tutti questi anni – in particolare, nel corso dell’ultimo ventennio – l’immagine del nostro Stato abbia subito qualche colpo, a seguito soprattutto dell’instabilità politica, che si è vissuta dopo Tangentopoli.
Pertanto, i festeggiamenti del 2 giugno, ben lungi dall’essere espressione retorica, devono divenire, nel vissuto quotidiano, un’utile occasione per rinverdire il rapporto fra la Repubblica ed i cittadini, che altrimenti possono allontanarsi, sempre più, dalla partecipazione democratica.
Non è un caso se, per effetto della succitata logica maggioritaria, una fetta cospicua di Italiani si sia allontanata dalla partecipazione al voto, in modo sempre più evidente ed inesorabile.
Partendo dai festeggiamenti odierni, invece, una simile tendenza deve essere invertita, per cui tutti gli Italiani, a qualsiasi ceto sociale essi appartengano, devono tornare ad essere protagonisti della vita pubblica del Paese, recitando un ruolo che non può essere alienato in favore di poteri extra-democratici.
Certo è che il fallimento dei tentativi di riforma della Carta Costituzionale, che si sono prodotti nel corso dell’ultimo ventennio, da Craxi a Renzi, dimostra bene come l’impalcatura di quel testo resiste e, per rinverdire la nostra cara Repubblica, non bisogna modificare la Costituzione, ma è necessario piuttosto dare attuazione concreta agli insegnamenti, che sono racchiusi in quelle mirabili pagine, che furono concepite in un clima di grandissima collaborazione fra tutte le forze antifasciste.
Solo per tal strada, il 2 giugno potrà ridivenire la festa compiuta di tutti gli Italiani, creando le premesse di uno sviluppo delle istituzioni democratiche, che non solo è auspicabile, ma è - invero - necessario per le generazioni che stanno, ora, crescendo.
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