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Rosario Pesce
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Venticinque anni fa, venivano trucidati il giudice Giovanni Falcone ed il suo collega Paolo Borsellino, a distanza di poche settimane l’uno dall’altro.
Quelle stragi segnarono la storia del nostro Paese in modo inequivocabile.
Infatti, i due magistrati siciliani non solo erano stati i campioni della lotta contro la mafia, ma erano divenuti dei simboli dell’Italia onesta, che non voleva abbassare la testa in favore del grande crimine organizzato.
Peraltro, con i loro omicidi, la mafia diede un segnale inquietante all’intera nazione, visto che, per la prima volta, nel giro di due mesi, venivano uccisi coloro che avevano rappresentato una stagione molto importante di contrasto vero contro la criminalità.
Lo Stato seppe rispondere in modo appropriato, visto che, nel giro di qualche anno, tutti i responsabili delle stragi di Capaci e di Palermo vennero assicurati alla Giustizia, ma era ineluttabile che quei due fatti di sangue segnassero il percorso politico delle nostre istituzioni.
Eravamo, infatti, nella primavera del 1992, agli inizi della stagione di Tangentopoli, per effetto della quale l’intera classe dirigente del Paese venne spazzata via, chiudendosi un ciclo politico pluridecennale.
La morte cruenta di Falcone e Borsellino accelerò il processo di delegittimazione dei governanti dell’epoca, per cui, dai fatti siciliani e dalle inchieste della Procura di Milano, nacque un moto popolare di rinnovamento profondo, che prendeva le mosse appunto dal distacco – ormai conclamato – che si era creato fra il “Palazzo” e la pubblica opinione.
Oggi, a distanza di un quarto di secolo da quegli eventi tragici, siamo di nuovo in un momento di svolta per il Paese, visto che la cosiddetta Seconda Repubblica – quella nata dal biennio 1992/94 – ha dimostrato i suoi evidenti limiti e l’intera nazione è alla ricerca, quindi, di nuovi equilibri sia sul piano politico, che su quello istituzionale.
Non è un caso se, a distanza di venticinque anni, si parla ancora con insistenza di riforme costituzionali, a dimostrazione del fatto che si avverte fortemente l’esigenza, tuttora, di un autentico momento di cambiamento.
Falcone e Borsellino sono, ormai, divenuti delle icone dell’Italia perbene ed onesta, anche se il loro ricordo sembra essersi cristallizzato.
Alle nuove generazioni, che non hanno vissuto quei fatti, va continuamente rinnovellata la memoria del sacrificio di Falcone e di Borsellino, se non si vuole che la loro morte rimanga solo uno dei tanti capitoli dei libri di storia.
Coltivare la loro memoria, infatti, significa contribuire a creare le necessarie difese immunitarie di un Paese, che si è dato la forma Stato in netto ritardo rispetto alle più evolute nazioni europee.
Solo così facendo, si potrà agire evitando che il grande crimine possa tenere in pugno la nazione ed, in tal senso, fondamentale è il ruolo delle agenzie educative, in primis della Scuola, che devono mantenere vivido il ricordo di chi ha offerto la propria vita, per rendere finalmente l’Italia più equa e vivibile.
Per questo motivo, è viepiù giusto stringerci intorno alla memoria di Falcone e Borsellino, per far sì che il futuro prossimo possa prendere le mosse dal nostro migliore e più qualificante passato.
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