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Una crisi non facile

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domenica, 14 maggio 2017 11:43

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Rosario Pesce
Quella, che stiamo vivendo, è per davvero una crisi non facile.
In primis, una crisi economico-sociale, che investe il sistema capitalistico nella sua complessità, per effetto di una globalizzazione spietata e feroce, che ha reso competitivi territori e mercati, che fino a pochi anni fa erano, invece, tagliati fuori.
Quindi, siamo in presenza di una crisi istituzionale, che si riverbera a qualsiasi livello, da quello comunitario a quello nazionale e locale.
Una crisi, in particolare, di rappresentatività, che si evidenzia molto bene da due dati: il tasso sempre più basso di partecipazione dei cittadini al voto ed il successo elettorale di liste, che sono contrassegnate unicamente da un messaggio populista e demagogico.
Infine, una crisi negli assetti organizzativi della società, conseguente al progressivo scioglimento del vincolo familiare, che si è reso sempre più debole e tenue.
Sono, questi, fattori che non possono non indurci una riflessione amara sul futuro delle odierne generazioni, che non avranno le certezze su cui, invece, hanno potuto contare i nostri padri.
Il posto di lavoro fisso, un livello di servizi adeguato al fabbisogno, una democrazia efficiente sono, ormai, divenuti dei miraggi, che vengono osservati sempre più con l’occhio di chi sa bene che non siano, per nulla, raggiungibili.
Una crisi, dunque, che investe le ragioni stesse del vivere sociale, visto che, per effetto di questi elementi, che abbiamo preso in considerazione, viene meno il piacere dello stare insieme, del vivere con e per l’altro.
Infatti, il prossimo diviene sempre più un nemico e non è, invece, visto come un prezioso compagno di viaggio, con cui costruire un pezzo della vita di gruppo.
Se poi l’altro ha un colore diverso della pelle o crede in un Dio differente dal nostro, allora la diffidenza si tramuta in avversione, se non in odio preconcetto, con tutte le conseguenze del caso, che si possono ben immaginare.
Cosa fare?
L’unica via d’uscita è rimboccarsi le maniche e ricostruire il senso dello stare insieme, così come fecero i nostri nonni all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, riuscendo a creare un mondo migliore di quello dilaniato dai conflitti e dalle dittature.
Ma, saremo capaci di fare tutto ciò o saremo, di nuovo, anime destinate a non incontrarci mai con il nostro simile?
La scommessa è molto forte, ma invero su di essa si basa il futuro dell’umanità: uscire dalla logica “amico-nemico” ed investire tempo e risorse preziose sulle relazioni sociali, in un momento storico nel quale, solo, la condivisione degli sforzi può tutelarci dalle fatiche e dalle pene del triste secolo in cui si vive.
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