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Un partito al bivio

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lunedì, 17 aprile 2017 10:43

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Rosario Pesce
È evidente che il PD sia un partito al bivio, visto che le prossime primarie del 30 aprile definiranno gli assetti della governance interna.
Appare scontata l’elezione di Renzi, che – dopo i successi dei Congressi sezionali – dovrebbe vincere anche nel voto popolare, sebbene in politica sia sempre cosa buona e saggia essere prudenti, come la vicenda referendaria dello scorso dicembre insegna bene.
Ma, presupposta la vittoria renziana con ampio margine su Orlando ed Emiliano, è chiaro che i quesiti non mancheranno.
Cosa farà Renzi a partire dal giorno dopo?
Minerà la vita del Governo Gentiloni, per andare subito al voto?
Oppure, sosterrà il Dicastero attuale, allo scopo di non fare ulteriori morti e feriti in un partito, che comunque esce ridimensionato dalla vicenda degli ultimi mesi?
Ed, inoltre, incassata l’elezione alla Segreteria, insisterà perché egli possa essere il candidato, finanche, al Premierato nella prossima legislatura?
Oppure, più ragionevolmente, comprendendo che il modello dell’uomo unico al comando non è più sufficiente per questo partito, si attiverà per un ticket, ipotizzando una presenza diversa dalla sua a Palazzo Chigi?
Certo è che, frattanto, la pubblica opinione si è allontanata ulteriormente dai partiti ed, in particolare, da quello che mette insieme le tradizioni dell’ex-DC e dell’ex-PCI.
Non è un caso se, in questi anni, il PD ha perso moltissimi tesserati e se, fra quelli attuali, solo una metà circa ha votato nei Congressi sezionali, a dimostrazione di una disaffezione galoppante, che non può non interrogare quanti fanno attività politica, sia a livello locale, che nazionale.
Peraltro, alle prossime primarie conterà molto il dato dell’afflusso al voto, essendo data per scontata la vittoria di Renzi.
Se, infatti, non si raggiungerà la quota dei due milioni, almeno, di votanti, è ovvio che ci si troverà in presenza di un autentico flop, con conseguenze nefaste per tutto il PD, sia quello renziano, sia quello non-renziano, che ha preferito rimanere nel partito, piuttosto che uscire insieme ai transfughi di Articolo 1.
Gli interrogativi, dunque, non mancano; non ci resta che assistere a queste ultime due settimane di campagna elettorale, nell’auspicio che si alzi il tono complessivo del dibattito interno al principale partito italiano, dalla cui forza dipenderà, poi, la risposta che si sarà capaci di dare al populismo imperante in Italia, come in Europa.
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