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Rosario Pesce
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La vendita del Milan ai Cinesi segna la chiusura di un ciclo, durato trentuno anni.
Infatti, nel lontano 1986, Berlusconi acquisiva dal fallimento il Milan di Farina e, nel giro di un paio di anni, lo portò sul trono d’Europa.
Un merito grandissimo, quello dell’allora proprietario di Fininvest, che egli seppe utilizzare, finanche, in termini politici, quando – qualche anno dopo – scese nell’agone parlamentare.
Quei fatti, non solo di natura sportiva, hanno segnato, più in generale, l’intera società italiana, visto che non si può negare l’importanza che il fenomeno del berlusconismo ha avuto nel nostro Paese.
Oggi, quindi, si apre un nuovo ciclo, non solo per Berlusconi che si congeda dal calcio, dopo essersi congedato - di fatto - dalla politica.
Il calcio italiano nelle mani dei Cinesi apre una nuova fase storica, che certamente sarà foriera di grandissime novità e, speriamo, di successi analoghi a quelli che sono stati determinati, nel corso degli anni, dalle gestioni delle grandi famiglie, da Agnelli a Moratti, da Berlusconi a Sensi.
Certo è che, se il calcio è la prima azienda del nostro Paese, la cessione, nel giro di pochi mesi, di Milan ed Inter ad imprenditori asiatici segna, per davvero, un punto di svolta epocale per chi ha sempre considerato il pallone non solo una mera azienda del tempo libero, ma soprattutto un fatto, intrinsecamente, politico.
Berlusconi, con i successi della sua squadra, si è fatto conoscere dagli Italiani e, sulle vittorie calcistiche, ha poi costruito la sua fama di imprenditore abile e capace, che gli è servita moltissimo quando, poi, si è dato all’impegno istituzionale in modo organico.
Senza il calcio, molto probabilmente, egli non sarebbe mai divenuto notissimo al grande pubblico italiano, per cui non sarebbero mai nati i successi elettorali di Forza Italia.
Oggi, con l’avvio molto rapido della parabola discendente del politico e dell’imprenditore calcistico, inizia una fase nuova, quindi, non solo per il mondo dello sport.
È ineluttabile che i Cinesi cambieranno, nel giro di qualche decennio, le abitudini inveterate del nostro capitalismo, costruito su ataviche basi familiari.
Saranno più cinici e spietati dei vecchi capitalisti del Novecento?
Saranno più vittoriosi?
Si limiteranno ad essere uomini di sport o inizieranno una scalata nel mondo dell’imprenditoria nazionale, come appunto hanno fatto - prima di loro - altri esponenti del capitalismo nostrano?
L’Italia sarà un po’ meno il Belpaese, che abbiamo conosciuto negli anni nei quali Berlusconi faceva la scalata al Milan ed alla politica nazionale, e certamente si proietterà su una dimensione internazionale più ampia e feconda in termini economici.
Ma, noi Italiani saremo protagonisti di questo processo oppure, come accadeva nel Medioevo e nella prima età moderna, saremo - di nuovo - terra di conquista di predatori che non avranno alcuno scrupolo ed altro interesse, se non l’acquisizione repentina e rapace dei nostri beni, dalle società di calcio - appunto - ai tesori dell’arte e della Bellezza, che conserviamo nei musei e nelle Chiese?
Lungo questo discrimine si giocherà la “partita” vera dei prossimi decenni, nell’auspicio che gli Italiani, almeno una volta, possano essere animati da sentimenti di unità e non di avversione reciproca.
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