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Rosario Pesce
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Ormai, è evidente che il PD sia destinato ad una scissione non più evitabile.
Termina così una storia di dieci anni, che ha conosciuto momenti esaltanti, ma anche delle contingenze non esemplari, come quest’ultima appunto della scissione, che dovrebbe essere consacrata nel corso delle prossime giornate.
Ma, ripercorriamo in breve la storia del primo partito italiano, nato dieci anni fa per mettere insieme due aree culturali del nostro Paese, quella ex-democristiana di Sinistra e quella ex-comunista, che ora si scindono con non poche conseguenze per la politica nazionale.
È sempre stato evidente che la fusione delle due classi dirigenti portasse, con sé, effetti non prevedibili e così è stato.
Il PD è nato, essenzialmente, per evitare la frammentazione delle forze progressiste, da quelle ex-comuniste a quelle ex-democristiane, passando per laici e socialisti.
Ma, i rapporti di forza fra ex-comunisti ed ex-democristiani sono sempre stati ballerini, visto che i primi hanno espresso la Segreteria Nazionale in tre casi, con Veltroni, Fassino e Bersani, ma hanno dovuto accettare l’indicazione di Presidenti del Consiglio di area ex-democristiana, da Prodi a Letta, in base ad un equilibrio non certo saldo.
Le elezioni del 2013 e la sconfitta di Bersani hanno contribuito a far saltare, in via definitiva, un asse pur precario, per cui su quel partito si è abbattuto il ciclone Renzi, che all’inizio ha conferito dinamicità al quadro politico nazionale, ma che ha contribuito poi in modo deciso ai risultati odierni.
Renzi, infatti, per rottamare le vecchie volpi ex-comuniste, ha finito per far implodere un partito, che oggi è quasi esclusivamente di matrice renziana, tranne che per quella fetta di seguaci di Franceschini, che prima o poi sono destinati a morire per mano dell’ex-Presidente del Consiglio, se non prenderanno a breve le distanze dallo stesso.
È evidente, quindi, che l’iniziale compito, che i fondatori del PD si erano assegnati, non è stato assolto, per cui il “rompete le righe” è l’unica via d’uscita per un partito al cui interno il conflitto è divenuto la costante dal 4 dicembre in poi, cioè all’indomani della sconfitta renziana in materia referendaria.
Cosa si andrà a costruire non è un dato, che ad oggi si può invero conoscere, ma è ovvio che l’ennesima scissione del campo progressista non potrà che riportare alle vecchie identità di un tempo, quando ciascuno era geloso della propria matrice, culturale e politica, e non ricercava alcuna forma di contaminazione.
Ma, è ovvio che la scissione di questi giorni non può che essere la principale sconfitta di Renzi, che ben poco ha fatto per evitarla, contribuendo in senso opposto a dare un’accelerazione, che ha portato agli esiti che stiamo vivendo in queste ore frenetiche.
Forse, rottamare significa scindersi?
Forse, vincere le elezioni significa modificare la matrice ideologica di un partito?
Forse, governare significa coventrizzare i propri avversari interni?
Certo è che, da oggi in poi, inizia una nuova pagina della storia della Sinistra italiana e crediamo che inizi un percorso tutto in salita, sia per chi ha rottamato, sia per chi, per non subire la rottamazione, intraprende un percorso diverso.
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